Privacy&

2020/2

Gianluigi Baroni Luca Saglione

Il controllo dei dipendenti alla prova della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo

In un contesto lavorativo caratterizzato dalla progressiva e costante diffusione di nuove tecnologie, il diritto dei lavoratori alla vita privata e quello delle imprese alla tutela dei beni aziendali si trovano in una situazione dialettica in cui il punto di equilibrio viene ciclicamente ripensato e ridefinito anche in relazione all’introduzione di diverse modalità organizzative ed operative ed al mutare della sensibilità sociale. Sul tema, interessanti spunti di riflessione sono offerti dalla “Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali” che, all’art. 8, ha previsto un generale diritto al “rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza”, nonché dalla recente giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che ha progressivamente interpretato in modo estensivo tale norma, includendo, oltre alla sfera intima e strettamente personale del soggetto, anche quella professionale e le attività e/o interazioni in luoghi pubblici. Con il caso López Ribalda e altri c. Spagna , deciso nell’ottobre 2019, la CEDU ha completato il percorso interpretativo avviato con le precedenti sentenze in tema di controlli c.d. “difensivi” effettuati dal datore di lavoro. Nel caso concreto la Corte escludeva la violazione dell’art. 8 della Convenzione, ma sottolineava il dovere degli Stati, ancorché indipendenti nella scelta dei mezzi più idonei, di salvaguardare la riservatezza dei lavoratori, assicurando che ogni misura di controllo adottata dal datore di lavoro fosse proporzionata ed accompagnata da adeguate garanzie contro gli abusi. Alcuni dei principi richiamati dalla CEDU trovano già riconoscimento a livello italiano; in particolare, si può considerare pacificamente acquisito il principio che i controlli finalizzati ad accertare possibili condotte illecite dei lavoratori non riguardanti l’adempimento della prestazione lavorativa, sono legittimi allorquando (i) ci sia un fondato sospetto di illecito, (ii) la videosorveglianza sia limitata al tempo strettamente necessario all’individuazione del responsabile dell’illecito e (iii) non vi sia altra misura idonea a tale scopo. Nell’attesa di ulteriori indicazioni attuative da parte della giurisprudenza, la normativa privacy può svolgere già oggi un ruolo decisivo nella delicata ricerca del bilanciamento tra necessità di controllo dell’impresa e rispetto della riservatezza del lavoratore. Un primo espresso segnale in tal senso è stato dato da parte del Garante per la Protezione dei Dati Personali italiano che, a seguito della sentenza della CEDU López Ribalda e altri c. Spagna , ha osservato come il principio di “proporzionalità” sia requisito essenziale di legittimazione dei controlli in ambito lavorativo e che in ogni caso il datore di lavoro che decide di installare telecamere deve rispettare i principi in materia di trattamento dei dati personali, così come stabiliti dal GDPR e dalle Linee Guida adottate dall’ European Data Protection Board.

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