Privacy&

2021/3

Emilio Girino Franco Estrangeros

Quanto vale un dato? Qualche modesta proposta di risposta

Lo scritto si pone quale annunciata evoluzione analitica del prologo pubblicato dagli stessi Autori nel precedente n. 2 della Rivista. Muovendo dal bias cognitivo che spesso conduce l’utente dei social network a convincersi della gratuità del servizio quando invece esso è “pagato” con la totale dazione dei dati personali per fini di profilazione e sfruttamento pubblicitario, lo scritto pone anzitutto due pietre miliari a riferimento delle successive riflessioni: la commerciabilità del dato e la nozione di cessione del medesimo.  Dimostrata la prima sia col conforto delle pronunce amministrative nel noto caso Facebook sia sottoponendo a minuzioso vaglio critico la direttiva sui servizi digitali e chiarita la seconda nella sua aspecifica accezione di condivisione dell’informazione senza alcun definitivo trasferimento proprietario, gli Autori ripercorrono, in chiave più approfondita, le tre linee di ricerca enunciate nel precedente intervento. In primo luogo, il riconoscimento del sinallagma nel contratto rete-utente colto, però, nella sua più ampia e reale complessità e alla luce di un attento distinguo, strutturale e funzionale, del consenso a fini privacy e del consenso contrattuale. In secondo luogo, la definizione del perimetro di cedibilità dei dati, qui pervenendo ad individuare categorie peculiari di dati che, per loro natura, non possono costituire oggetto di sfruttamento a scopo lucrativo ricorrendo al meccanismo della valutazione di immeritevolezza parziale dell’accordo. In terzo luogo, l’analisi degli strumenti civilistici impiegabili vuoi per ricondurre ad equità economica il contratto in ragione del genetico squilibrio fra il peso della prestazione richiesta all’utente e i ritorni economici del social, vuoi per rimediare a violazioni dell’accordo (come accade nel caso di trattamenti fuoriuscenti dal perimetro di cedibilità) o a illeciti extracontrattuali (caso del c.d. “traffico di dati”). Lo sforzo di teorizzazione del contratto fra utente e social conduce alla conclusione per cui, quasi per un apparente paradosso, la protezione dell’utente risiede nelle norme civilistiche, non già nel GPDR, la cui vasta portata regolamentare esula dalla disciplina del negozio basato sul sinallagma servizio contro dati. 

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